NUOVO CODICE DI COMPORTAMENTO DEI DIPENDENTI PUBBLICI: LE NOVITA’

Il giornale online SCUOLA 7  – fondato dal compianto Giancarlo Cerini- ha pubblicato un interessante articolo di Vittorio Delle Donne sul NUOVO CODICE DI COMPORTAMENTI DEI DIPENDENTI PUBBLICI. Riportiamo, pertanto, tale articolo e richiama l’attenzione di tutto il personale pubblico (compresa la scuola) sul contenuto del nuovo REGOLAMENTO

Nuovo Codice di Comportamento dei dipendenti pubblici: Tra vecchi e nuovi doveri

Pubblicato nella Gazzetta Ufficiale Serie Generale n. 150 del 29 giugno 2023, lo scorso 14 luglio 2023 è entrato in vigore il DPR 13 giugno 2023, n. 81 (Regolamento concernente modifiche al decreto del Presidente della Repubblica 16 aprile 2013, n. 62), ossia il nuovo «Codice di comportamento dei dipendenti pubblici» (da ora in poi nuovo «Codice»), che integra e modifica in parte il vecchio «Codice», emanato con DPR n. 62 del 16 aprile 2013 a norma dell’articolo 54 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165.

Il valore di regolamentazione del rapporto di lavoro dei pubblici dipendenti del nuovo provvedimento legislativo è innegabile. Qui non vogliamo entrare nel merito del complesso (e antico) dibattito sul valore giuridico del Codice di Comportamento, sulla valenza disciplinare degli obblighi in esso previsti e sul suo necessario coordinamento con la fonte pattizia. Ricordiamo, però, che l’art. 40, comma 1, del medesimo D.lgs. 165/2001 demanda alla contrattazione collettiva la materia relativa alle sanzioni disciplinari, “nei limiti previsti dalle norme di legge”,

La parabola del pubblico impiego

Ma ripercorriamo velocemente le tappe che hanno portato alla nascita del nuovo «Codice».

La disciplina del rapporto di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni ha subito nel corso del tempo una profonda trasformazione, oscillando tra una posizione di centralità ora riconosciuta alla legge dello Stato, ora alla fonte contrattuale collettiva. Si è passati così da un iniziale modello post unitario di regolamentazione di natura privatistica al regime pubblicistico, che ha caratterizzato gran parte del secolo scorso, per poi tornare verso il modello di partenza.  Nel frattempo, però, il modello privatistico si era profondamente trasformato, al punto che attualmente l’impiego alle dipendenze dell’amministrazione può essere definito a buona ragione come un rapporto di lavoro di diritto privato speciale.

Una tappa fondamentale del processo di privatizzazione della pubblica amministrazione è stata rappresentata dal d.lgs. 3 febbraio 1993, n. 29, che in ossequio alla delega contenuta nell’articolo 2 della legge 23 ottobre 1992, n. 421, procedette alla razionalizzazione della organizzazione delle Amministrazioni pubbliche e ad una radicale revisione della disciplina in materia di pubblico impiego.

La stessa complessità e vastità della materia rese però immediatamente necessari alcuni interventi di integrazione e correzione: così già pochi mese dopo la sua emanazione, il D.lgs. 23 dicembre 1993, n. 546 introduceva una serie di modifiche al D.lgs. 3 febbraio 1993, n. 29.

La nascita del codice di comportamento

In particolare, con l’inserimento dell’art. 58-bis, veniva per la prima volta introdotto nel nostro ordinamento un «codice di comportamento dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni»: la presidenza del Consiglio dei Ministri (Dipartimento della funzione pubblica), veniva infatti delegata, sentite le confederazioni sindacali maggiormente rappresentative sul piano nazionale, a definire un codice di comportamento dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni, «anche in relazione alle necessarie misure organizzative da adottare al fine di assicurare la qualità dei servizi che le dette amministrazioni rendono ai cittadini», da pubblicare nella Gazzetta Ufficiale, da consegnare al dipendente all’atto dell’assunzione e da recepire in allegato nei contratti dei singoli comparti.

La delega venne attuata col decreto del Ministero della Funzione Pubblica 31 marzo 1994.

Qualche anno più tardi, sul finire del millennio, l’allora ministro della Funzione Pubblica, Franco Bassanini, provvide poi con il DPCM 28 novembre 2000 all’aggiornamento del codice, reso necessario dalle modificazioni apportate all’art. 58-bis del D.lgs. 29/1993 dal D.lgs. n. 80 del 31 marzo 1998.

Uno strumento di controllo, prevenzione e contrasto alla corruzione

La disciplina, confluita con l’abrogazione del D.lgs. 29/1993 nell’art. 54 del D.lgs. 30 marzo 2001, n. 165, rimase invariata per oltre un decennio, finché nel 2013 fu oggetto di profondi rimaneggiamenti, dopo che, nell’ambito di una più vasta azione di controllo, prevenzione e contrasto ai fenomeni di corruzione e illegalità all’interno della pubblica amministrazione, la Legge 6 novembre 2012, n. 190 (cd. “legge Severino”, dal nome del Ministro della giustizia dell’allora governo Monti, Paola Severino), nel dettare “disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione”, delegò con l’art. 1, comma 44, il governo italiano all’emanazione di un nuovo codice di comportamento dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni. L’obiettivo era quello di «assicurare la qualità dei servizi, la prevenzione dei fenomeni di corruzione, il rispetto dei doveri costituzionali di diligenza, lealtà, imparzialità e servizio esclusivo alla cura dell’interesse pubblico».

Tra i principi e i criteri direttivi determinati dalla legge delega vi erano:

  • la violazione dei doveri contenuti nel «Codice» e nei singoli codici con cui ciascuna pubblica amministrazione (con procedura aperta alla partecipazione, previo parere obbligatorio del proprio organismo indipendente di valutazione e tenuti presenti criteri e linee guida della CIVIT/ANAC) lo integra e specifica, è fonte di responsabilità disciplinare;
  • la violazione dei doveri può dar luogo a responsabilità civile, amministrativa e contabile ogniqualvolta le stesse responsabilità siano collegate alla violazione di doveri, obblighi, leggi o regolamenti;
  • violazioni gravi o reiterate del codice di comportamento comportano l’applicazione della sanzione del licenziamento disciplinare.

Il Decreto del Presidente della Repubblica 62/2013

La delega, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione, e previa intesa in sede di Conferenza unificata, fu attuata col D.P.R. 16 aprile 2013, n. 62[1].

Tra le principali disposizioni che per la prima volta volte vengono impartite al dipendente pubblico si segnalano:

  • il divieto di chiedere regali, compensi o altre utilità e di accettarne, salvo quelli d’uso di modico valore (non superiore a 150 euro: i codici di comportamento adottati dalle singole amministrazioni possono tuttavia prevedere limiti inferiori, anche fino ad escluderli del tutto, in relazione alle caratteristiche dell’ente e alla tipologia delle mansioni) – anche sotto forma di sconto – e nei limiti delle normali relazioni di cortesia: i regali non consentiti sono immediatamente messi a disposizione dell’Amministrazione per essere restituiti o devoluti a fini istituzionali;
  • l’obbligo di comunicare la propria adesione o appartenenza ad associazioni e organizzazioni (con esclusione dei partici politici e dei sindacati) i cui ambiti di interesse possano interferire con lo svolgimento delle attività dell’ufficio;
  • l’obbligo di comunicare, all’atto dell’assegnazione all’ufficio, i rapporti diretti o indiretti di collaborazione, in qualunque modo retribuiti, avuti con soggetti privati negli ultimi i tre anni, precisando se questi rapporti sussistono ancora (o sussistano con il coniuge, il convivente, i parenti e gli affini entro il secondo grado);
  • l’obbligo di astenersi da decisioni o attività in cui possano insorgere conflitti di interessi, anche non patrimoniali, dovuti a situazioni personali o dei propri cari;
  • la tracciabilità e la trasparenza dei processi decisionali adottati (che dovranno essere garantite attraverso un adeguato supporto documentale);
  • il rispetto dei vincoli posti dall’amministrazione nell’utilizzo del materiale o delle attrezzature di cui si dispone per ragioni di ufficio (diversamente dal passato, in cui era fatto divieto assoluto del loro utilizzo, salvi i casi d’urgenza), anche con riferimento all’utilizzo delle linee telematiche e telefoniche dell’ufficio;
  • gli obblighi di comportamento in servizio nei rapporti e all’interno dell’organizzazione amministrativa;
  • l’utilizzo corretto dei permessi di astensione dal lavoro, comunque denominati.

Per i dirigenti viene stabilito anche: l’obbligo di comunicare all’amministrazione le partecipazioni azionarie e gli altri interessi finanziari che possono porli in conflitto d’interesse con le funzioni che svolgono; l’obbligo di fornire le informazioni sulla propria situazione patrimoniale previste dalla legge; il dovere di intraprendere tempestivamente le azioni disciplinari e penali richieste ove venga a conoscenza di un illecito; il dovere di evitare, per quanto possibile, che si diffondano notizie non vere sull’organizzazione, sull’attività e sugli altri dipendenti.

Le previsioni del DL 30 aprile 2022, n. 36

Negli ultimi anni, la sempre più ampia diffusione delle tecnologie informatiche e in particolare dei social media nella vita di tutti i giorni e il crescente fenomeno della digitalizzazione del lavoro hanno tuttavia spinto il legislatore a procedere ad una rivisitazione del «Codice».

Un’ultima testimonianza, in ordine cronologico, è la previsione del ricorso al lavoro a distanza anche nel mondo della scuola contenuta negli artt. 10-16 dell’Ipotesi di CCNL Comparto Istruzione e Ricerca siglata il 14 luglio 2023.

L’art. 4 del DL 30 aprile 2022, n. 36[2] prevede nel primo comma 1-bis la necessità di introdurre nel «Codice» «una sezione dedicata al corretto utilizzo delle tecnologie informatiche e dei mezzi di informazione e social media da parte dei dipendenti pubblici, anche al fine di tutelare l’immagine della pubblica amministrazione»; il secondo (comma 7) contempla invece l’obbligo per le pubbliche amministrazioni di organizzare per i propri dipendenti, in caso di assunzione, trasferimento o passaggio a ruoli o a funzioni superiori, un ciclo formativo sui temi dell’etica in generale e di quella pubblica in particolare.

Le novità introdotte dal DPR n. 81 del 13 giugno 2023

Nel nuovo «Codice» restano invariati gli articoli del precedente testo da 1 a 11, 14, 16 e 17 (fatta salva la clausola di invarianza finanziaria di cui al comma 2-bis: «Alle attività di cui al presente decreto le amministrazioni provvedono con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente, senza nuovi o ulteriori oneri a carico della finanza pubblica»).

Vengono comunque introdotte poche e circoscritte integrazione negli artt. 12, 13 e 15:

  • il dipendente opera, nel rapporto con il pubblico, con spirito di servizio, correttezza, cortesia, disponibilità e nella maniera più completa e accurata possibile «e, in ogni caso, orientando il proprio comportamento alla soddisfazione dell’utente»; inoltre si astiene da dichiarazioni pubbliche «che possano nuocere al prestigio, al decoro o all’immagine dell’amministrazione di appartenenza o della pubblica amministrazione in generale» (art. 12);
  • il dirigente adotta un comportamento esemplare «in termini di integrità, imparzialità, buona fede e correttezza, parità di trattamento, equità, inclusione e ragionevolezza»; «cura la crescita professionale dei collaboratori, favorendo le occasioni di formazione e promuovendo opportunità di sviluppo interne ed esterne alla struttura di cui è responsabile»; e, parimenti, cura «il benessere organizzativo nella struttura a cui è preposto, favorendo l’instaurarsi di rapporti cordiali e rispettosi […], nonché di relazioni […] basate su una leale collaborazione e su una reciproca fiducia e assume iniziative finalizzate alla circolazione delle informazioni, all’inclusione e alla valorizzazione delle differenze di genere, di età e di condizioni personali» (art. 13);
  • le attività formative rivolte al personale sui temi della trasparenza e integrità, già previste in precedenza, si devono allargare ad includere «anche cicli formativi sui temi dell’etica pubblica e sul comportamento etico, da svolgersi obbligatoriamente, sia a seguito di assunzione, sia in ogni caso di passaggio a ruoli o a funzioni superiori, nonché di trasferimento del personale, le cui durata e intensità sono proporzionate al grado di responsabilità» (art. 15).

In linea tuttavia con le novità previste dal DL 36/2022, il DPR 81/2023 introduce due articoli di nuova concezione, l’11-bis, rubricato «Utilizzo delle tecnologie informatiche», e l’11-ter, rubricato «Utilizzo dei mezzi di informazione e dei social media».

La regolamentazione dell’utilizzo delle tecnologie

Il nuovo «Codice» attribuisce alla Pubblica Amministrazione, attraverso i propri responsabili di struttura, la «facoltà» di svolgere gli accertamenti necessari e adottare ogni misura atta a garantire la sicurezza e la protezione dei sistemi informatici, delle informazioni e dei dati. A dire il vero, la scelta di qualificare come facoltà quella che il Regolamento europeo 679/2016 “GDPR” impone come obbligo ha sollevato – e a buona ragione – qualche perplessità.

Le modalità di svolgimento di tali accertamenti vanno tuttavia regolamentate e devono essere conformi alle linee guida che l’Agenzia per l’Italia Digitale provvederà ad adottare, sentito il Garante per la protezione dei dati personali.

Anche in caso di uso di dispositivi elettronici personali, come prescritto dall’art. 12, comma 3-bis del Codice dell’Amministrazione Trasparente (D.lgs. 7 marzo 2005, n. 82), le pubbliche amministrazioni devono comunque garantire la sicurezza e la protezione delle informazioni e dei dati. L’utilizzo di account istituzionali è consentito per i soli fini connessi all’attività lavorativa o ad essa riconducibili e non può in alcun modo compromettere la sicurezza o la reputazione dell’amministrazione.

Uso della casella di posta elettronica

Per gli stessi motivi e in maniera speculare, per le attività e nelle comunicazioni di servizio il dipendente non deve utilizzare la propria casella di posta elettronica personale, fatti salvi i casi in cui gli sia impossibile accedere al proprio account istituzionale.

Il dipendente è infatti responsabile del contenuto dei messaggi inviati, che deve sottoscrivere nelle modalità individuate dall’amministrazione di appartenenza. Ciascun messaggio in uscita deve infatti consentire l’identificazione del dipendente mittente e deve indicare un recapito istituzionale al quale il medesimo è reperibile.

Non è consentito l’invio di messaggi di posta elettronica, all’interno o all’esterno dell’amministrazione, che siano oltraggiosi, discriminatori o che possano essere in qualunque modo fonte di responsabilità dell’amministrazione.

Uso degli strumenti informatici per incombenze personali

Fermi restando i vincoli stabiliti dall’art. 11, comma 3, del medesimo «Codice» («il dipendente utilizza il materiale o le attrezzature di cui dispone per ragioni di ufficio e i servizi telematici e telefonici dell’ufficio nel rispetto dei vincoli posti dall’amministrazione»), novità di un certo rilievo sembra essere costituita dalla prevista possibilità di consentire al dipendente «l’utilizzo degli strumenti informatici forniti dall’amministrazione per assolvere alle incombenze personali senza doversi allontanare dalla sede di servizio, purché l’attività sia contenuta in tempi ristretti e senza alcun pregiudizio per i compiti istituzionali» (art. 11-bis, comma 4).

Utilizzo dei mezzi di informazione e dei social media

La disciplina dell’uso dei vari social network da parte di un dipendente pubblico rappresenta sicuramente la novità più importante del nuovo «Codice».

Nella consapevolezza della pervasività dei social media, la regolamentazione estende la propria sfera fino a comprendere atteggiamenti e comportamenti on line, che afferiscono non solo al contesto lavorativo, ma anche all’ambito extra lavorativo.

Del resto, già l’art. 10 del «Codice», muovendosi nel solco di una tradizione caratterizzata dal riconoscimento della specialità del rapporto di lavoro alle dipendenze della pubblica amministrazione, estendeva il proprio controllo anche alla sfera dei rapporti privati del dipendente pubblico: «Nei rapporti privati […] il dipendente non sfrutta, né menziona la posizione che ricopre nell’amministrazione per ottenere utilità che non gli spettino e non assume nessun altro comportamento che possa nuocere all’immagine dell’amministrazione».

Tutela del prestigio e decoro della pubblica amministrazione

La nuova norma chiarisce però immediatamente che il prestigio, il decoro e l’immagine della pubblica amministrazione vanno tutelati dal dipendente nella vita virtuale non meno che in quella reale. Pertanto, «nell’utilizzo dei propri account di social media, il dipendente utilizza ogni cautela affinché le proprie opinioni o i propri giudizi su eventi, cose o persone, non siano in alcun modo attribuibili direttamente alla pubblica amministrazione di appartenenza» (art. 11-ter, comma 1).

In generale, anzi, egli deve «in ogni caso […] astenersi da qualsiasi intervento o commento che possa nuocere al prestigio, al decoro o all’immagine dell’amministrazione di appartenenza o della pubblica amministrazione in generale» (art. 11-ter, comma 2).

Inoltre, fatte salve le attività o le comunicazioni per le quali l’utilizzo dei social media risponde ad una esigenza di carattere istituzionale, «le comunicazioni, afferenti direttamente o indirettamente il servizio non si svolgono […] attraverso conversazioni pubbliche mediante l’utilizzo di piattaforme digitali o social media» (art. 11-ter, comma 3).

Scoraggiare l’uso dei Social

L’intento del legislatore è evidentemente quello di scoraggiare il fin troppo diffuso ricorso a social media di uso immediato, che sempre più spesso vengono preferiti alla posta elettronica per veicolare informazioni e documenti di servizio (che la dematerializzazione dei documenti rende di facile reperibilità e immediata riproducibilità), con l’evidente rischio di coinvolgere però nella comunicazione elementi estranei o comunque esorbitanti la stessa.

In questa direzione sembra muoversi anche il divieto contenuto nell’ultimo comma dell’art. 11-ter: «Fermi restando i casi di divieto previsti dalla legge, i dipendenti non possono divulgare o diffondere per ragioni estranee al loro rapporto di lavoro con l’amministrazione e in difformità alle disposizioni di cui al decreto legislativo 13 marzo 2013, n. 33, e alla legge 7 agosto 1990, n. 241, documenti, anche istruttori, e informazioni di cui essi abbiano la disponibilità».

La “social media policy”

Il nuovo «Codice» prevede infine la facoltà per ciascuna amministrazione di dotarsi, inserendola all’interno del proprio codice di condotta, di una “social media policy” per ciascuna tipologia di piattaforma digitale, in cui siano individuate, «graduandole in base al livello gerarchico e di responsabilità del dipendente, le condotte che possono danneggiare la reputazione delle amministrazioni» (art. 11-ter, comma 4).

La “social media policy” rappresenta uno strumento mutuato dal mondo delle aziende private, ma di grande diffusione anche nella pubblica amministrazione, che può ricoprire la doppia funzione di regolamento interno, che, dal momento in cui viene firmato, vale come tutte le altre regole aziendali, e di coinvolgimento e guida per i dipendenti alla corretta comunicazione con l’utenza.

I rischi

Come facilmente ipotizzabile, la fissazione delle regole e delle procedure e la definizione delle relative sanzioni richiederà massima attenzione e precisione da parte degli enti, atteso che obiettivi, regole e tono dei documenti di “social media policy” mutano a seconda che siano rivoltia dipendenti, fornitori e collaboratori che utilizzano i canali social personali e che s’interfacciano con i canali dell’ente (social media policy interna) o siano destinati alla comunicazione fra utenti e ente attraverso i canali social ufficiali (social media policy esterna).

Del resto, lo stesso Consiglio di Stato, nel Parere n. 93 del 19 gennaio 2023, non aveva taciuto le proprie perplessità in merito al tentativo attuato dagli artt. 11-bis e 11-ter di «codificazione di una pluralità di regole connotate da un elevato dettaglio casistico, ma al contempo da una indeterminatezza delle condotte sanzionabili, favorita anche dall’utilizzo di espressioni linguistiche, molte delle quali tratte dal linguaggio tecnico e lasciate prive di definizioni atte a esplicitarne il significato» e aveva messo in guardia contro il rischio di esporre «i pubblici dipendenti agli eccessi degli spazi interpretativi d’intervento, ed anche alla connessa dubbiosità, per così dire, disparitaria, circa l’attivazione delle procedure disciplinari, di chi sarà preposto ad assicurarne il rispetto e a sanzionarne la violazione».


[1] Regolamento recante codice di comportamento dei dipendenti pubblici, a norma dell’articolo 54 del decreto legislativo 165/2001.

[2] Art. 4 del DL 30 aprile 2022, n. 36, Ulteriori misure urgenti per l’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza», convertito, con modificazioni, dalla Legge 29 giugno 2022, n. 79, integrava infatti l’art. 54 del D.lgs. 165/2001).