DOCENTE DI SOSTEGNO OBBLIGATA A SVOLGERE COMPITI NON RIENTRANTI NEL SUO PROFILO PROFESSIONALE: ANALISI E COMMENTO ALLA SENTENZA DEL TRIBUNALE DI FOGGIA

In questi giorni si è parlato tanto di una sentenza emessa dal Tribunale di Foggia, conseguente al ricorso presentato da una docente di sostegno, avverso un ordine di servizio del Dirigente Scolastico in cui le si imponeva di svolgere mansioni di assistenza materiale e personale a un alunno con disabilità.

Tale sentenza è stata oggetto di vari interventi da parte di testate giornalistiche impegnate sul “fronte scolastico”, con interpretazioni diverse e, spesse volte del tutto asettiche tanto che non sono entrate nel merito della questione, in ciò creando confusione e dubbi sulla materia del contendere e sulla reale portata della stessa sentenza.

A questo aggiungiamo che anche nell’ambito lavorativo della docente si è, in maniera del tutto inappropriata e non rispondente alla decisione del Tribunale di Foggia, diffusa l’affermazione e il convincimento (indotto da chi??)  che il Giudice adito aveva, nella sentenza, condiviso l’operato della scuola condannando anche la docente alle spese di giudizio.

A questo punto, appare evidente, che si sente l’obbligo e il dovere di fare chiarezza sul contenuto del ricorso e affrontare la questione sottoposta al G.O. nonché la conseguente sentenza emessa sia nella sua esegesi temporale che sotto l’aspetto giuridico e sostanziale della vicenda.

Orbene, come sopra detto, la docente presentava ricorso avverso un ordine di servizio fattole notificare dal dirigente scolastico nel quale si sosteneva che fosse suo obbligo:

  • Vigilare e accompagnare il minore nei suoi spostamenti all’interno dell’istituto (es. laboratorio, bagno).
  • Accogliere l’alunno all’ingresso della scuola alla prima ora di lezione.

La ricorrente, a mezzo del suo legale, ha sostenuto nel ricorso che tali compiti non rientrassero nelle sue mansioni di insegnante di sostegno, il cui ruolo è prettamente educativo e didattico, ma spettassero ad altre figure professionali, specificamente al “Collaboratore Scolastico”.

La docente ha fondato il proprio ricorso su una solida base normativa e contrattuale, sostenendo che l’ordine di servizio fosse illegittimo per le seguenti ragioni:

  1. Natura del ruolo del docente di sostegno: La legge n. 517/1977 e la legge quadro n. 104/1992 definiscono l’insegnante di sostegno come un docente specializzato per l’integrazione e lo sviluppo didattico degli alunni con disabilità, senza includere compiti di assistenza personale.
  2. Previsioni del CCNL Scuola: Il Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro (CCNL) del comparto scuola, sia nella versione del 2024 che in quella precedente del 2006/09, attribuisce esplicitamente al profilo del Collaboratore Scolastico le mansioni di “ausilio materiale non specialistico agli alunni con disabilità nell’accesso […], all’interno e nell’uscita da esse, nonché nell’uso dei servizi igienici e nella cura dell’igiene personale” .
  3. Indicazioni Ministeriali: Circolari del MIUR (note n. 3390/2001 e n. 4274/2009) avevano già chiarito che l’assistenza di base, come l’accompagnamento ai servizi igienici, rientra tra le funzioni dei collaboratori scolastici.
  4. Violazione della normativa sulla sicurezza: L’imposizione di mansioni non conformi al proprio profilo professionale esporrebbe la lavoratrice a un rischio di stress e sovraccarico, in violazione del D.Lgs. 81/2008.

La docente chiedeva, pertanto, l’annullamento dell’ordine di servizio e il risarcimento del danno da stress lavorativo.

Dopo oltre un anno dalla presentazione del ricorso, con vari rinvii, alternarsi di giudici chiamati a decidere sulla materia del contendere, il Tribunale di Foggia ha deciso la causa senza, ED E’ QUI IL PUNTO CRUCIALE, entrare nel merito della legittimità o meno dell’ordine di servizio, basando la sua pronuncia su due aspetti procedurali e probatori:

  1. Inammissibilità per sopravvenuto difetto di interesse ad agire: La domanda principale, volta ad accertare il diritto della docente a non svolgere le mansioni contestate, è stata dichiarata inammissibile. Il giudice ha rilevato che, per l’anno scolastico successivo (2025/2026), la docente era stata assegnata a classi e alunni diversi, rendendo l’ordine di servizio impugnato non più attuale. Citando la giurisprudenza della Cassazione, il Tribunale ha ribadito che l’azione giudiziaria deve essere sorretta da un interesse “concreto e attuale” e non può essere utilizzata per ottenere pronunce su situazioni passate per meri effetti futuri o di principio.
  2. Rigetto della domanda di risarcimento danni: La richiesta di risarcimento del danno è stata respinta per “estrema genericità” e “assoluto difetto di prova”. Il giudice ha sottolineato che, ai sensi dell’art. 2087 c.c., spetta al lavoratore l’onere di provare l’esistenza del danno, la nocività dell’ambiente di lavoro e il nesso causale tra i due. La ricorrente si era limitata ad allegare genericamente di aver subito uno “stress eccessivo”, senza fornire alcun elemento probatorio che giustificasse la richiesta risarcitoria

Di conseguenza, in applicazione del principio della soccombenza, la docente è stata condannata anche al pagamento delle spese di lite in favore del Ministero della P.I. E DEL …MERITO (sulla definizione di  “Merito” ci sarebbe tanto da dire…)

La sentenza, che è stata emessa avuto riguarda al solo profilo processuale (fra l’altro come detto, e si dirà, molto opinabile e contraddittorio) rappresenta un esito profondamente insoddisfacente per la docente e lascia irrisolta una questione di principio fondamentale per il corretto funzionamento del sistema scolastico inclusivo.

L’azione legale della docente non era un mero “puntiglio”, ma un tentativo legittimo di far rispettare i confini del proprio ruolo professionale, delineati con chiarezza dalla normativa e dalla contrattazione collettiva. Le sue argomentazioni erano fondate su una distinzione netta e consolidata tra le diverse figure che operano nella scuola e in particolare per l’inclusione scolastica:

  • L’insegnante di sostegno: È un docente specializzato con compiti prettamente didattici ed educativi. La sua funzione è quella di promuovere lo sviluppo umano, culturale e professionale dell’alunno, assumendo la contitolarità della classe e partecipando alla programmazione didattica. Come chiarito dal Consiglio di Stato, l’insegnante di sostegno è chiamato ad adempiere alle “ineliminabili (anche sul piano costituzionale) forme di integrazione e di sostegno” a favore degli alunni diversamente abili, ma il suo ruolo è distinto da quello dell’assistente (SENTENZA del Consiglio di Stato num. 2285 del 2017) (SENTENZA del Consiglio di Stato num. 2349 del 2017).
  • Il collaboratore scolastico: Il CCNL Scuola 2024, citato nel ricorso, è inequivocabile nell’attribuire a questa figura “l’ausilio materiale non specialistico agli alunni con disabilità”, includendo esplicitamente l’assistenza “nell’uso dei servizi igienici e nella cura dell’igiene personale”.
  • L’assistente all’autonomia e alla comunicazione: Figura distinta, fornita dagli enti locali, che supporta l’alunno con handicap fisici o sensoriali per garantirne l’autonomia e la comunicazione.

La docente ha correttamente evidenziato come l’ordine di servizio confondesse questi ruoli, imponendole compiti di assistenza materiale che non solo esulavano dalla sua professionalità, ma che la legge affida a un altro profilo professionale.

Tale confusione non solo snatura la funzione del docente di sostegno, ma rischia di privare l’alunno del supporto specializzato di cui ha diritto, sia sul piano didattico (dal docente) sia su quello assistenziale (dal collaboratore scolastico).

Il vero paradosso della vicenda risiede nel fatto che il Tribunale non ha mai valutato la fondatezza di queste argomentazioni.

La decisione di inammissibilità per “sopravvenuto difetto di interesse ad agire” ha di fatto permesso all’amministrazione scolastica di eludere un giudizio nel merito.

Infatti, lo stesso dirigente, ha modificato nel corrente anno scolastico, l’ordine di servizio alla docente mediante l’assegnazione della stessa ad altro alunno con disabilità (vanificando in tal modo il principio consolidato e obbligo normativo di assicurare al precitato alunno la continuità didattica e integrazione scolastica) rendendo “obsoleto” l’ordine di servizio impugnato, neutralizzando, a parere del G.O.  l’azione legale

Questo esito, sebbene processualmente previsto (ma lasciateci il dubbio su tale questione), lascia l’amaro in bocca e non solo…

La questione di fondo – ovvero se un dirigente scolastico possa legittimamente ordinare a un insegnante di sostegno di svolgere mansioni di assistenza fisica – rimane senza una risposta giurisdizionale.

La docente, che aveva agito per affermare un principio valido per sé e per l’intera categoria, si è vista negare una pronuncia nel merito a causa di un evento successivo e indipendente dalla sua volontà e che ha determinato l’inopinato pronunciamento del Giudice, altro che, come alcuni nella scuola  affermano, riconoscendo la legittimità dell’ordine di servizio, altro che vittoria dell’Amministrazione, invece il tutto va ricondotto in un sistema giudiziario lento e farraginoso che lede i diritti dei lavoratori, fa dell’ingiustizia il “modus operandi” della giustizia e, non da ultimo, consente al datore di lavoro di emettere ordini di servizi illegittimi, accorgersi di aver sbagliato e per il solo fatto che la giustizia agisce con ritardo, eludere anche la condanna della sua azione e del suo modo di gestire il rapporto di lavoro del tutto illegittimo,  creando, nel contempo, stress e conflitto nell’ambiente scolastico.

La Condanna alle Spese: Oltre al Danno, la Beffa

L’aspetto più criticabile, inoltre, della sentenza è la condanna della ricorrente al pagamento delle spese di lite e, sebbene questa sia stata una forzatura del G.O., in virtù del principio di soccombenza, in questo caso appare come una sanzione ingiusta, punitiva, e quasi, ma si può anche omettere il quasi, di diffida a intraprendere azioni giudiziarie…insomma si è avvertito da parte del G.O. quasi un “fastidio a dover esaminare e giudicare aspetti normativi scolastici che forse non si conoscono appieno…”

La docente è risultata “soccombente” non perché le sue ragioni fossero infondate (si ripete nel merito il G.O. non si è affatto pronunciato), ma perché sia la lentezza ormai consolidata del nostro sistema giudiziario sia un evento procedurale e ritardato congiunta a una azione “capziosa” dell’Amministrazione, ha reso impossibile la valutazione del contendere.

In sostanza, un lavoratore, che ha cercato di tutelare la propria dignità professionale e vedersi garantita la corretta applicazione delle norme a tutela dell’inclusione scolastica, si è trovato non solo a non ottenere giustizia nel merito, ma anche a dover sostenere i costi di un procedimento reso vano da una scelta strategica (?) dell’Amministrazione e da un intervento tardivo del G.O. che si è trincerato sul “cessato contendere”.

Ma ci chiediamo…per gli atti illegittimi emessi e per lo stress creato alla docente che ne facciamo on.le giudice? lasciamo che ognuno faccia quello che vuole e poi, accortosi della violazione dei diritti dello stesso lavoratore, nel timore di avere possibile condanne, ne ritiri l’atto evitando la dovuta “sanzione”?

Si è portati ad estremizzare la cosa affermando che se così fosse ogni reato o atto illegittimo emesso dalla P.A., se non esaminato in tempo dal G.O.(per colpe addebitabili allo stesso sistema giudiziario) viene, allora, sanato da comportamenti successivi, posti in essere dallo stesso soggetto giuridico che, smentendo se stesso per quanto precedentemente illegittimamente posto in essere, tenti così di sottrarsi ad eventuali sanzioni ? bene…anzi malissimo….ma il “mal tolto” o “il danno ricevuto” che fine fa? Non è, questo, forse un incentivo ad assumere arbitrari comportamenti tanto, poi, fino a quando la giustizia si pronuncia si ha il tempo per ravvedersi e se il lavoratore produce ricorso rischia, come il caso in esame, di pagarne pure “le spese”?

Occorre, alla luce di quanto detto, affermare che questo tipo di esito rischia di avere un effetto deterrente, scoraggiando altri lavoratori dal far valere i propri diritti per timore di incorrere in tecnicismi procedurali, ritardi nella pronuncia con conseguenti condanne economiche per il solo fatto che “ la P.A. ponga in essere atti illegittimi e poi strategicamente li si ritiri”.

In definitiva, in maniera chiara, ci si permette di affermare che ciò acuisce sempre più quel clima di sfiducia che aleggia nell’opinione pubblica nei confronti dell’amministrazione giudiziaria

Per quanto ci riguarda, non possiamo non ritenere che l’azione della docente è stata un’importante e coraggiosa affermazione della professionalità docente e dei principi di una corretta organizzazione del supporto all’inclusione.

L’esito del giudizio, purtroppo, evidenzia una criticità del sistema giudiziario, dove la correttezza formale può talvolta prevalere sulla giustizia sostanziale, lasciando i lavoratori senza tutela effettiva e penalizzandoli per aver cercato di far rispettare la legge e a pagare per i ritardi da parte di chi amministra, male ovviamente, la giustizia.

Come Organizzazione Sindacale ci dissociamo da questo modo di trattare i lavoratori della scuola e ci faremo portavoce della ingiustizia patita dalla docente anche presso altre sedi ministeriali in quanto è palese che l’ordine di servizio è elusivo anche di precise disposizioni normative, contrattuali e delle stesse indicazioni ministeriali e certamente il G.O., con la sentenza emessa, non è entrato nel merito della questione, ma sicuramente questo possono farlo altri organi dell’Amministrazione gerarchicamente superiori.